Joe Biden, l'eccezionalità di un uomo normale
"Spero di essere un buon senatore, ma vi faccio una promessa. Se tra sei mesi mi rendessi conto che il mio incarico mi impedisce di essere un buon padre, cosa che spero non accada, allora mi rivolgerò al Governatore e gli dirò che possiamo avere un altro senatore. Ma loro hanno solo questo padre".
1972, ospedale di Wilmington, Delaware. Joseph Robinette Biden jr. detto Joe Biden, appena eletto senatore degli Stati Uniti vincendo contro il superfavorito avversario repubblicano, deve prestare il suo giuramento di fedeltà. Ha chiesto di farlo in quell'ospedale dove sono ricoverati Beau e Hunter, i suoi figli. C'era anche un'altra figlia, fino a pochi giorni prima, Naomi Christina, 13 mesi. E c'era una moglie, il primo amore della sua vita, Neilia Hunter. Entrambe gli sono state strappate via da un Tir che ha distrutto la loro auto mentre portavano a casa l'albero di Natale. Beau e Hunter erano sul sedile posteriore, sono rimasti feriti gravemente, ma sono sopravvissuti.
Quel giuramento in ospedale
L'asfalto, sul luogo della tragedia, era coperto da decine di volantini elettorali di Biden, i resti di una battaglia combattuta e sofferta che si era conclusa un mese prima, in Novembre. L'abbiamo vista, quella scena, in un bel documentario americano trasmesso da Rai1, "il metodo Biden", che racconta chi è Joe Biden e come è arrivato a diventare il 46° presidente degli Stati Uniti in un'America spaccata in due come forse non lo era stata dai tempi della Guerra Civile, che al sud chiamavano guerra di Secessione.
Quel giuramento doveva essere un momento di gioia e di trionfo, il coronamento del duello all'ultimo voto contro il senatore Caleb Boggs, che voleva andare in pensione ma era stato convinto a ripresentarsi dal presidente Richard Nixon in persona. Nessun democratico voleva correre contro di lui, ma "Joey", 29 anni, avvocato, unica esperienza politica due mandati come consigliere della contea, volle provarci. Due mesi prima delle elezioni i sondaggi - mai stati una scienza esatta - lo davano sotto di 30 punti. E invece fu una corsa alla pari. Alla fine vinse lui di poco, pochissimo: 1,3 punti. Ma considerati i pronostici fu la sua prima grande vittoria. E Joe divenne il sesto senatore più giovane nella storia degli Stati Uniti.
La stazione Biden
La vita, il destino, il caso, a volte riesce a colpirti quando meno te lo aspetti. E mentre a Washington il neosenatore allestiva il suo ufficio, sceglieva i suoi collaboratori e si preparava a giurare, arrivò quella maledetta telefonata. L'incidente. La tragedia. Neilia e Noemi morte sul colpo, i due ragazzi feriti in ospedale. Furono giorni disperati, giorni e notti infiniti in cui Joe Biden molte volte pensò di mollare, lo pensò a lungo anche dopo aver pronunciato quelle parole nel corso del giuramento in ospedale. Mentre i suoi colleghi restavano a Washington e tornavano a casa nei weekend, lui per settimane, mesi, anni, fece la spola in treno come un pendolare qualsiasi tra Washington e Wilmington, cercando di essere ogni sera a casa con Beau e Hunter. Al Senato, tutti sapevano che avrebbero dovuto interromperlo in qualsiasi momento, qualsiasi cosa stesse facendo, se uno dei figli avesse chiamato. Divenne amico di decine di dipendenti dell'Amtrak, la compagnia ferroviaria, si batté per loro e ogni anno organizzava un gigantesco barbecue. Qualcuno si sorprenderà scoprendo che la stazione di Wilmington di Front Street dal 2011 si chiama Joseph R. Biden, Jr., Railroad Station.
La prima battaglia? Contro la balbuzie
E' uno che non si arrende, Biden. E' uno che sa vincere le battaglie, soprattutto quelle che sembrano perse in partenza. La prima fu quella contro la sua balbuzie, che ha combattuto durante tutta l'infanzia e l'adolescenza, fino a vent'anni, tanto che i bulli della scuola lo chiamavano "Dash" ("trattino", come nel codice Morse). Qualche residuo gli è rimasto, ed è stato naturalmente oggetto di sfottò da parte dell'entourage trumpiano durante le campagne elettorali. Come quando l'ex portavoce della Casa Bianca, Sarah Huckabee Sanders ,aveva twittato su Biden digitando la vocale "i" più volte, a scimmiottare il balbettìo, salvo poi cancellare il tweet dal suo profilo. Lui le aveva risposto semplicemente: "Ho lavorato una vita intera per superare la balbuzie. Ed è un grande onore per me fare da mentore ai bimbi che hanno lo stesso problema. Questa si chiama empatia. Cercala".
I’ve worked my whole life to overcome a stutter. And it’s my great honor to mentor kids who have experienced the same. It’s called empathy. Look it up. https://t.co/0kd0UJr9Rs
— Joe Biden (@JoeBiden) December 20, 2019
Biden è così: un uomo che riesce a trarre forza dalle proprie debolezze. Empatia per lui è una parola chiave per aprire le porte della vita.
C'è un avvocato di St. Lous che si chiama Branden Brooks. Biden lo conobbe in un incontro pubblico quando studiava legge all'Università. Branden a un certo punto si alzò a fece una domanda comprensibilmente imbarazzato: era anche lui balbuziente. Alla fine dell'incontro Joe lo prese da parte e gli disse di non permettere che la balbuzie interferisse con la sua vita e anzi di ricercare occasioni di parlare in pubblico ogni volta che poteva. Branden conserva ancora questo biglietto, pubblicato recentemente da Letters of Note:
Caro Branden —
è stato un piacere conoscerti ieri. Sei un ragazzo bravo e brillante, se continuerai a lavorare sodo ti aspetta un grande futuro. Tieni a mente quello che ti ho detto riguardo la balbuzie. Puoi sconfiggerla così come l’ho sconfitta io. Quando lo farai, sarai una persona più forte: avrai vinto. Un’altra cosa: ogni volta che hai la tentazione di prendere in giro qualcuno per via di un suo problema, ricorda come ti senti quando sei tu a essere preso in giro. Tratta tutti con rispetto e sarai rispettato.
Il tuo amico
Joe Biden
Quando citò Kinnock senza citarlo
Trarre forza dalle proprie debolezze. E Joe Biden di debolezze ne aveva parecchie. Ad esempio aveva la brutta abitudine, quando si innamorava di un discorso, di appropriarsene spesso senza citare la fonte. Lo fece con qualche spezzone dei discorsi di Jfk, il suo idolo. Lo fece anche con un famoso discorso di Neil Kinnock, ex segretario del partito laburista britannico, oggi barone e membro della camera dei Lords. Era il 1987, Biden si era candidato per la presidenza ed era anche considerato uno dei favoriti per la sua grande abilità politica, la sua storia personale, la sua popolarità. Ma quelle parole rubate a Kinnock senza citarlo gli fecero piovere addosso un diluvio di critiche. Molte altre volte aveva usato quelle stesse frasi, sempre citandone l'autore, racconta Jeff Wilser nella sua biografia "The book of Joe". Ma in un dibattito con Mike Dukakis, Jesse Jackson e Al Gore, non lo fece. Un assistente glielo fece subito notare. "Shit" si lasciò sfuggire Biden. Anche nell'entourage di Dukakis qualcuno se ne accorse, e in men che non si dica la notizia era su giornali e tv. Biden ammise l'errore, si scusò, invocò i precedenti corretti. Ma sapeva già che non sarebbe bastato contro la macchina infernale dei media ormai scatenata. Si ritirò, anche se certo avrebbe avuto maggiori chances di Dukakis, che venne polverizzato dal vicepresidente uscente George Bush senior.
Gli andò male anche nel 2008, quando appena candidatosi per le presidenziali si beccò un'altra valanga di accuse per un'intervista in cui diceva di Obama, suo avversario tra i candidati democratici, qualcosa come "Beh, voglio dire, abbiamo il primo afro americano brillante, pulito, pure un bell'uomo. E' come una favola, ragazzi". E così, lui, proprio lui che pure era considerato un grande sostenitore della comunità afro americana, si ritrovò sul groppone perfino un'accusa di pseudorazzismo. Nulla di più lontano dalla realtà, ma sicuramente un altro brutto scivolone di "Mr Gaffe", come lo chiamava qualcuno a Washington. Lui si lasciava trascinare, era istintivo, non balbettava più ma a volte straparlava. ( "Graham dove sei? Alzati" disse una volta a un senatore dimenticandosi che era paralizzato dalla vita in giù).
Obama, da una gaffe nacque una grande amicizia
Alla fine si ritirò anche da quella campagna. Ma il metodo Biden funzionò ancora: non arrendersi e trarre forza dalle proprie debolezze e dalle proprie capacità comunicative. Dalla sua telefonata a Obama in cui lo convinse che non aveva alcuna intenzione di offenderlo - ed era certamente la verità - nacque un rapporto di profonda stima che di lì a poco portò il futuro primo presidente afro americano a offrigli di correre al suo fianco per la vicepresidenza. Era l'inizio di un'intensa amicizia che non è mai venuta meno tra loro. Passavano molto tempo insieme alla Casa Bianca. E quando la vita colpì ancora una volta duramente Biden, con la morte per un tumore dell'amato figlio Beau, diventato nel frattempo Procuratore generale del Delaware e pronto a correre per governatore, fu proprio Obama a stargli vicino come un fratello e a pronunciare una sincera, commovente orazione funebre per il ragazzo.
Ancora una volta a terra, ancora una volta costretto a rialzarsi e a ricominciare. Ma dai tempi della guerra alla balbuzie, combattere era l'ultima cosa che spaventava Joe Biden. Aveva combattuto contro la perdita di Neilia e Noemi, fino a ritrovare l'amore con la seconda moglie Jill Tracy Jacobs, un'insegnante di lontane origini siciliane (il nonno veniva dalla Sicilia, si chiamava Giacoppa e aveva anglicizzato il cognome in Jacobs), che gli dette un'altra figlia, Ashley, nata nel 1981.Aveva combattuto contro la sconfitta politica, lui che si era abituato troppo presto a vincere contro tutte le previsioni. Ora doveva continuare dopo aver seppellito anche quel figlio che non aveva voluto lasciare neppure il giorno del giuramento da senatore. E continuò, fino ad oggi.
Il 25 aprile 2019, con un videomessaggio antirazzista in cui attaccava duramente il presidente Donald Trump, Joe Biden annunciò ufficialmente la sua candidatura alle primarie democratiche. Ci provava per la terza volta, non è da tutti. Ma la sua popolarità non era mai venuta meno: nelle 24 ore successive all'annuncio raccolse 6,3 milioni di dollari di piccole donazioni online per la sua campagna, battendo tutti gli altri candidati democratici. Pochi mesi dopo trionfò alle primarie, e offrì alla candidata che più lo aveva attaccato nei dibattiti tv, Kamala Harris, di essere al suo fianco come vicepresidente. In perfetto stile Biden.
E ora la sfida più difficile
Stavolta ce l'ha fatta ad arrivare al numero 1600 di Pennsylvania Avenue. E il perché forse lo ha sintetizzato bene in una bella intervista al Guardian proprio Lord Kinnock, scherzosamente definito da Biden in uno dei loro frequenti incontri "il mio migliore scrittore di discorsi".
"Perché vorrei Biden alla Casa Bianca? Ho cinque ragioni per questo e sono i miei cinque nipoti, perché che ci piaccia o no, il presidente degli Stati Uniti influisce su tutte le nostre vite e certamente sulle vite delle generazioni future. So che sarebbero serviti meglio, come i bambini negli Stati Uniti, da Joe Biden di quanto potrebbero mai essere da Trump. Joe è onesto, è coraggioso, è ben informato ed esperto e, soprattutto, è razionale, tutte cose che Trump non è. Uno dei maggiori punti di forza di Joe, credo, certamente un attributo naturale, è che è normale. È davvero il ragazzo ben informato che incontri per strada e in un'epoca in cui gli elettori cercano l'autenticità, lui è la cosa reale ".
Questa è certamente una chiave per leggere la vittoria di Joe Biden. Il buon senso, la normalità, la sensazione di avere un presidente amico dopo quattro anni di delirio. "Joey" non è Jfk, lo sa bene. Ma forse è il presidente che serve ora all'America per rimettere a posto la casa dopo l'uragano. Il mandato dell'ex vice di Obama comincia in un Paese devastato, lacerato, confuso. Biden sa bene che 74 milioni di americani hanno votato per Trump e continueranno ad ascoltare le sue farneticazioni e magari le sue nuove call to action come l'assalto a Capitol Hill. La prima emergenza è il Covid, maldestramente affrontato dal presidente "no mask", ma la seconda sono i settemila honduregni affamati in marcia verso le frontiere americane convinti di poter entrare grazie al nuovo presidente. Un campo minato per il nuovo inquilino della Casa Bianca, che dovrà muoversi con estrema cautela: le divisioni di Trump sono pronte ad azzannarlo alla gola. Ma la sfida della sfide è proprio quella: diventare il presidente dei Re -United States: ricucire, riparare, convincere quei 74 milioni che la strada per far tornare l'America ad essere il faro del mondo libero, non è quella di Trump. Sarà la sua battaglia più difficile.
Nessuno sa se potrà riuscirci. Ma una cosa è certa: non si arrenderà perché non l'ha mai fatto. Cinque volte aveva chiesto a Jill di sposarlo prima di ottenere un sì, tre volte ha provato a correre per l'incarico più alto prima di farcela. Ma non ha mai mollato. Del resto, quando da giovane studente incontrò per la prima volta la madre di Neilia e lei gli chiese cosa volesse fare nella vita, lui rispose sorridendo: "Io?Il Presidente degli Stati Uniti".
Buon lavoro, mister President.
Roberto Baldini