"Uncommitted", l'ultima grana di Biden. Sfida degli Arabo-americani per Gaza
Alle primarie democratiche del Michigan saltano fuori oltre 100mila voti di protesta dopo la campagna anti-israeliana dei filopalestinesi. Rischio per le elezioni di Novembre
E’ una campagna elettorale scandita dai campanelli dall’allarme per un provatissimo ma tenace Joe Biden. Quello più forte nelle ultime settimane glielo ha suonato nelle orecchie il procuratore Robert Hur, che ha deciso di non procedere con l’incriminazione del Presidente (una storia di documenti classificati trattenuti indebitamente) “…considerato che, al processo, il signor Biden probabilmente si sarebbe presentato a una giuria, come ha fatto nel nostro interrogatorio con lui: ovvero come un uomo empatico, ben intenzionato, anziano e con scarsa memoria”. Una motivazione devastante per un Presidente-candidato come Biden che da tempo ha come principale avversario proprio se stesso e la sua età. Lui si è difeso come al solito, con le unghie e con i denti: “Si, certo, sono anziano. E so cosa diavolo sto facendo”. Ma è chiaro che il colpo è stato duro.
Allarme Michigan
E ore è arrivato l’allarme Michigan. E’ successo a Dearborn, vicino a Detroit, sede del grande museo Henry Ford e di un’attivissima università, ma soprattutto capitale “araba” degli Stati Uniti. E basta una parola per capire perchè: Palestina.
Malgrado da cinque mesi il Presidente si spenda per contenere la reazione di Bibi Netanyiahu alla strage di Hamas del 7 ottobre, l’approccio dell’amministrazione Usa alla questione Gaza è ritenuto dagli Arab-Americans troppo filo israeliano. Chiedono che la Casa Bianca rompa gli indugi e imponga un cessate il fuoco nella Striscia minacciando di tagliare gli aiuti economici e militari a Israele o esercitando qualsiasi altro mezzo di pressione. E alla primarie democratiche del Michigan, che pure il Presidente in carica ha vinto ottenendo l’81% dei voti, hanno lanciato una massiccia campagna per il voto “uncommitted”: cioè un voto al partito che non prende posizione per nessuno dei candidati.
L’esercito degli “uncommitted”
E così dalle urne sono saltati fuori 100.900 “uncommitted”, pari a circa il 13% dei votanti, più voti di quanti ne abbia presi l’altro candidato democratico, Dean Phillips (3%). Una bella rogna per Biden: in Michigan gli uncommitted ci sono sempre stati, ma nelle precedenti primarie democratiche non avevano mai superato i 20mila con percentuali del 2-3 %: il 13 %, in vista sia della convention democratica di Agosto a Chicago che delle elezioni di Novembre, comincia ad essere assai preoccupante.
"È un grande successo per i pro-palestinesi del nostro paese e per il movimento anti-guerra", ha detto Abbas Alaeih, il portavoce di Listen to Michigan, l'organizzazione che ha promosso il boicottaggio di Biden per il suo approccio alla guerra a Gaza. Per ora si tratta più che altro di un’ efficace forma di pressione: gli Arabi Americani sono consapevoli che una vittoria di Trump imprimerebbe alla politica estera statunitense un’impronta ben più filo-israeliana di quella attuale. “Ma qui si tratta di salvare vite, questo va oltre la politica” ha spiegato un’altra esponente di Listen to Michigan, Layla Elibed.
L’incognita dei Swing States
Oltretutto il Michigan è uno dei cosiddetti “Swing States” gli stati cioè che non sono storicamente feudi Repubblicani o Democratici ma votano in modo diverso a ogni elezione: oltre al Michigan si parla di Arizona, Wisconsin, Pennsylvanya, North Carolina, Georgia, Nevada, tutti stati dove spesso la vittoria di uno o dell’altro candidato si è decisa per percentuali risicatissime. Basti pensare che in Michigan nel 2020 Biden passò su Trump per 150mila voti…
Gli uomini del Presidente cercano di minimizzare, puntando i riflettori piuttosto sulle debolezze di Donald Trump, che pure sono evidenti: tutti danno per scontata una vittoria dell’ex presidente ma sottovalutano quel 30-40% di repubblicani che non solo continuano a tenere in partita l’ex ambasciatrice alle nazioni Unite Nikki Haley, ma che a Novembre potrebbero anche decidere di non votare per Trump facendogli mancare voti essenziali.
“It’s the economy, stupid” . O no?
Resta il fatto che la posizione anti-israeliana degli arabi d’America non può essere ignorata da Biden, anche perché secondo un recente sondaggio Reuters/IPSOS l’estremismo politico e le minacce alla democrazia sono fra le questioni più sentite dagli elettori democratici, più dell’economia e dell’immigrazione, che invece è in testa alle issues per gli elettori repubblicani. Insomma, contrariamente alle tradizioni elettorali americane ( “It’s the Economy, stupid” fu il mantra della vittoriosa campagna elettorale di Bill Clinton del 1992 coniato dal suo stratega James Carville) secondo molti osservatori questioni come la guerra di Gaza o l’Ucraina stavolta sono destinate ad avere un peso importante nel rush finale verso la Casa Bianca.
E’ così? Nel dubbio, c’è da scommettere che Biden, un uomo che ha sempre saputo trarre una grande forza proprio dalle sue debolezze, spingerà al massimo nelle prossime settimane per raggiungere un accordo su Gaza, puntando a un cessate il fuoco che diventa ogni giorno più urgente. E’ un accordo che oggi appare impossibile. è vero: ma non sarebbe la prima mission impossible per Joseph Robinette Biden jr. Quando diventò senatore del Delaware per la prima volta, a 29 anni - sesto senatore più giovane nella storia degli Stati Uniti - i sondaggi lo davano sotto il suo avversario di 30 punti. Trenta. E vinse lui.